Potomitan

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Fer forgé

Battito di Haiti

 

Triennale di Milano
28 maggio-28 giugno 2009
10h30-20h30
Jeudi 10h30-22h30

Entrée libre

Information: 0039 02 54122917

Fer forgé

TITOLO E TEMA

Il titolo dell'esposizione temporanea prende spunto dal nucleo centrale dei diversi generi di opere esposte, costituito da 43 sculture di ferro battuto ritagliato e inciso e vuole, al contempo, evocare il ruolo centrale della creatività nel più ampio contesto del progetto umanitario e di economia sostenibile di cui l'esposizione fa parte integrante. L'esposizione temporanea è il frutto di un lavoro di ricerca e di riflessione multidisciplinare su alcuni dei caratteri dominanti della cultura e della creatività dell'arte contemporanea di Haiti, visti dal dentro e dal fuori, ed espressi attraverso un gioco di contrasti e di contraddizioni che costituiscono la trasposizione più immediata della percezione del contesto e delle condizioni socio-culturali del Paese. A dialogare fra loro sono le opere di Stefano Guindani e di Roberto Stephenson, che ci restituiscono nell'immediatezza della visione fotografica i contesti urbani e l'esperienza esistenziale dell'uomo haitiano, e due gruppi di opere emblematiche della condizione dell'individuo e dell'arte di Haiti: le maschere in cartapesta di Jacmel, variopinte concretizzazioni di un Carnevale che riporta nelle dinamiche del quotidiano la dimensione della storia e le aspettative più profonde della cultura locale; e le grandi sculture di lamina di metallo ritagliato, battuto e inciso di Croix-des-Bouquets, che eternano le divinità del vudù e i protagonisti dell'immaginario collettivo, in figure così cariche di pathos da trascendere la loro dura bidimensionalità e da materializzare, quasi ossimoricamente, la profondità delle aspirazioni dell'anima.

Milano per HAITI. Mostra alla Triennale voluta da Letizia Moratti

PERCORSO ESPOSITIVO

Il percorso espositivo si articola in tre sezioni che corrispondono ai diversi momenti della riflessione artistica e culturale integrata nel progetto della mostra. Le prime due sale dell'esposizione presentano al visitatore una ridda di colori e di forme che costituiscono una sorta di conferma dei caratteri che l'immaginario collettivo dell'Occidente assegna della tradizione artistica delle Antille. A parlarci, in un contesto sonoro di grande vivacità, sono le maschere del Carnevale di Jacmel e una serie di altre opere scultoriche realizzate con la tecnica della cartapesta.

Diable

Diable en papier mâché, Jacmel. © 2009 Città di Lugano, Museo delle Culture.

Nella terza sala, che è concepita come una sorta di «camera di compensazione», cinque grandi alberi di metallo battuto, ritagliato, inciso e dipinto ci anticipano il tema portante del percorso e, al contempo, ci introducono emotivamente alla parte centrale dell'esposizione che è stata immaginata come un momento di riflessione fotografica capace di restituire al visitatore il contesto in cui prendono forma le opere d'arte che sono in mostra. Si tratta di una riflessione volutamente cadenzata fra due estremi: da una parte la scoperta, spesso sofferta, della condizione esistenziale dell'uomo haitiano; dall'altra i paesaggi urbani in cui le strutture architettoniche sembrano trovare una ragione d'essere nei contrasti di colore che generano nello spazio, piuttosto che in una funzionalità o in una storia che sembrano scomparire nell'evanescenza di un mondo popolato dai fantasmi della cultura.

Arbre

Arbre en fer forgé peint, Croix-des Bouquets. © 2009 Città di Lugano, Museo delle Culture.

Un percorso, dunque, fra presenza e assenza, leggibile da una parte nella serie di 40 fotografie in b/n di Stefano Guindani, esposte nella quarta e nella quinta sala, e dall'altra nelle 16 foto a colori di Roberto Stephenson, esposte nei grandi corridoi che circondano la sala centrale, i cui formati lunghi e inusuali aggiungono, alla visione delle assenze, l'idea della fuga e dell'incapacità oggettiva della percezione dei fatti della cultura.

Port-au-Prince 2008-1, Roberto Stephenson

Port-au-Prince 2003-2, Roberto Stephenson. © 2009 Roberto Stephenson.

Nella grande sala centrale sono, infine, esposte 43 opere di metallo battuto, ritagliato e scolpito che vengono da Croixdes-Bouquets, cittadina della fascia suburbana nord di Port-au-Prince. Si tratta del nucleo portante di opere dell'esposizione che ci raccontano di un'arte sorprendente, che ha generato una vera e propria scuola spontanea, e che declina i personaggi dell'immaginario ideologico e del mito in forme semplici e fortemente espressive che tendono a trascendere la visione della realtà attraverso l'uso di una lente creativa che tende al surreale. Pur nella loro accentuata bidimensionalità, le sculture ci rimandano a un universo eloquente di immagini interiori che l'allestimento cerca di valorizzare attraverso il ricorso alla proiezione in positivo e in negativo delle silhouette delle sculture, quasi a volere restituire, nel gioco delle ombre, la profondità dell'ispirazione culturale di cui esse sono innanzi tutto il risultato. Fra gli scultori maggiormente rappresentati dalla selezione di opere di fer forgé vi è Serge Jolimeau, la cui produzione artistica ha da tempo acquisito il conforto di un interesse e di una rilevanza internazionale.

Mambo

Mambo, Serge Jolimeau. © 2009 Città di Lugano, Museo delle Culture.

L'apparato didascalico prevede tre diversi livelli di lettura (superficiale, attenta, scrupolosa) e si fonda su di un approccio fenomenologico che intende suggerire all'osservatore i temi e i significati trattati, valorizzando più possibile l'interazione visiva fra l'opera e l'allestimento. L'esperienza visiva è immaginata come un percorso di scoperta, contrassegnato dai momenti decisivi della concentrazione (l'opera che «cattura»), della pausa (l'opera che «attiva» la riflessione) e del riposo (l'opera che favorisce l'emersione e l'interazione dei contenuti). Una scelta di musiche di ambiente intende sottolineare le valenze principali del discorso. Le didascalie sono costituite da semplici e chiari pannelli introduttivi alle diverse sezioni dell'esposizione e riportano, per quanto riguarda le sculture, anche l'elenco dei titoli delle opere, che sono poi richiamati in situ da un semplice numerino di riferimento che rimanda all'ordine del catalogo.

OPERE IN ESPOSIZIONE

Le maschere del Carnevale di Jacmel

Lion

Lion en papier mâché, Jacmel. © 2009 Città di Lugano, Museo delle Culture.

Il Carnevale di Jacmel, città di 40.000 abitanti considerata la capitale culturale di Haiti, è una delle tradizioni popolari più vive del paese e un vero trionfo dell'inesausta capacità creativa dell'uomo haitiano. Dieci giorni prima dell'inizio della Quaresima, nel corso principale della città, ha luogo una sfilata che potremo modernamente considerare come la messa in scena di un universo virtuale in cui i protagonisti, mascherati o meno, delineano i contorni e le forme di un mondo privo di disuguaglianze sociali, in cui demoni e fiere si associano agli esseri umani in una rappresentazione fortemente caratterizzata dall'assenza di una soluzione di continuità ideologica, ai diversi livelli in cui si situano i fenomeni della cultura e della società. Esseri dalle fattezze di ibridi animali, in cui l'aquila lascia intravedere ghigni canini, incalzano creature nere che sembrano voler manifestare a tutti costi la loro origine ctonia, suscitando ribrezzo fra gli astanti, come una coorte di demoni scappati dall'inferno. Seguono altri demoni vocianti, ancora oggi chiamati mathurin, dal nome dell'artista che negli anni Venti sembra ne disegnò per primo le fattezze: sono giovani e vecchi, come se volessero rammentare l'esistenza di un mondo parallelo che, ciclicamente, si rinnova, come il nostro.

La funzione principale dei mascherati è quella di conservare gli abitanti della città nell'alveo dei valori della storia, rievocando quei personaggi dispari della cultura che impersonano efficientemente le grandi fratture di un passato che si mantiene vivo pur nell'immutabile dinamica delle trasformazioni del quotidiano. Riemergono così, quasi come strutture archetipiche, la Conquista, la schiavitù e le rivolte che due secoli fa ebbero il coronamento dell'affrancamento e di un'inattesa indipendenza, raggiunta a scorno delle armate che avevano facilmente soggiogato, dall'altra parte del mondo, l'Italia e l'Egitto, ma che non seppero tener testa al popolo sofferente e fiero che aveva proclamato, in cima alle colline, «la libertà o la morte».

Dal coacervo misterioso del passato storico e dell'io collettivo scaturiscono gli uomini dal cappello nero a tesa larga che rappresentano i notabili, i giudici, i ministri, chiamati tutti chaloskas, dal nome del generale Charles Oscar Etienne che il 27 Luglio 1915 diede l'ordine di massacrare i 167 prigionieri politici detenuti nel Penitenziario Nazionale di Port-au-Price. Un avvenimento questo che il Carnevale sembra ogni anno voler ricordare a tutti quei politici che, purtroppo, continuano a mantenere da decenni il paese nella più triste miseria. Il ballo che lega indissolubilmente i partecipanti alla sfilata è accompagnato e sorretto da una musica indiavolata suonata da bande che circolano liberamente per le vie della città, mescolando i loro ritmi in trapassi disordinati e libere associazioni di linguaggi che riverberano, come in un gioco di specchi miniaturizzanti, i più grandi e decisivi sincretismi che hanno generato quella cultura. Maschere e musica si richiamano a vicenda, in un balenio di risate e luci, di scherni e figure di vever disegnate nello spazio, forse inconsciamente dai gesti e dai passi di danza che, sul fare della notte, materializzano i mondi invisibili popolati dagli dèi del vudù. Allora, come in un verso del celebre poeta haitiano René Depestre, la sensualità e la collera, l'erotismo felice e le amare riflessioni sulla vita, l'orgoglio di una città fiera della sua identità e la vergogna dell'immiserimento di un mondo attraversato dalla rabbia del consumo, si mescolano in un tutt'uno, dando luogo all'epitome vera e propria di qual caos organico che contrappunta gli scenari dell'universo haitiano.

Le fotografie di Stefano Guindani

Deux étoiles

Deux étoiles, Stefano Guindani, 2009. © Stefano Guindani.

Le opere di Stefano Guindani sono state scelte e articolate in un percorso narrativo che tocca senza soluzione di continuità alcuni degli aspetti più rilevanti della condizione esistenziale dell'uomo haitiano di oggi. Nelle prime opere si è introdotti nel mondo delle baraccopoli attraverso i gesti e i volti dei bambini che le popolano rumorosamente, sempre alla ricerca di un'occasione per manifestare la propria voglia di essere. Ed è quasi attraverso gli occhi dei bambini, che a partire dall'opera intitolata Modernità, comincia un viaggio nel viaggio, che porta un po' alla volta alla scoperta deIl'interazione di un presente di miseria con i resti di una tradizione culturale antica. Il contrassegno visivo che accompagna l'osservatore è dato da un patchwork di lamiere che rimanda da una parte a uno dei caratteri dominanti dell'arte popolare di Haiti, ai gonfaloni di paillettes e ai contrasti cromatici irriducibili della sua naiveté pittorica, e dall'altra ci aiuta a mantenere viva la presenza del filo conduttore del percorso espositivo.

Il parallelo espressivo suggerito dall'accostamento lamiera/lametta dell'opera intitolata Haiti mambo, ci porta ancora più all'interno del viaggio, permettendoci di mettere a fuoco le contraddizioni patenti di una realtà socio-culturale in cui l'uomo è incapace di dominare una natura artificiale fatta di rifiuti e di avanzi che, asseverati in insiemi organici, vengono risemantizzati in montagne e addirittura nel profilo di nuovi paesaggi. Lo stacco deciso, non solo semantico, fra L'intreccio (opera n. 53) e il Rigore (opera n. 54), intende suggerire il ritorno, brusco, alla visione diretta del mondo dei bambini e alla loro lotta quotidiana per la vita, assistita dagli sforzi di coloro che dall'esterno cercano di portare il conforto di un'assistenza sanitaria degna di questo nome. Ë una lotta difficile, talvolta coronata dal successo, talvolta frustrata dalla morte che è resa in un linguaggio visivo crudo, ma denso di quella poesia che rimanda al senso dell'amore materno e dell'amore cristiano. La conclusione del percorso, dopo un paio di opere che intendono, quasi matericamente, chiudere sulla testa dell'osservatore i cieli neri di Haiti e la triste condizione quotidiana dei suoi abitanti, ci conduce per mano a un gioco di rimandi sottili in cui tre bambini, prima nascosti, poi rivelati e infine sorridenti ci chiudono la porta di un mondo che spera in un avvenire migliore.

Le fotografie di Roberto Stephenson

Port-au-Prince 2008-1, Roberto Stephenson

Port-au-Prince 2008-1, Roberto Stephenson. © 2009 Roberto Stephenson.

La migliore introduzione alle opere di Roberto Stephenson non possono che essere le parole con cui egli descrive la sua poetica: «Non spero in un mondo migliore. Il mio è più un viaggio nel lato nascosto della realtà. Non intendo cambiare nulla, né mostrare le cose diverse da quello che sono. Vorrei restituire la poesia che appartiene loro e che qualche genere di forma mentis cerca ogni tanto di portare via. Forse è possibile cercando di ristabilire una visione stretta sulle cose, come accade quando qualcuno ci osserva nella folla e noi guardiamo sempre troppo lontano».

In altre parole, le cose possiedono per Stephenson una loro logica e un loro peso specifico, e il compito dell'osservatore e, ancor più del fotografo, è quello di annullarsi restituendocele il più possibile nella configurazione di significati e di valori che sono loro propri. Si tratta naturalmente del compito-limite che il fotogiornalismo si è dato a partire dagli anni Venti, ma in tale compito Sthephenson è in grado, rispetto alla situazione haitiana, di contribuire con alcune specificità degne di grande attenzione. Il formato delle opere suggerisce efficientemente l'idea della fuga e dell'incapacità oggettiva di percepire la totalità della cultura, se non a partire dal suo interno fatto di oggetti accostati, ciascuno dei quali possiede una propria autonomia. E così le «opere lunghe» sono costituite da assembramenti di elementi solo apparentemente eterogenei che focalizzano la nostra attenzione, ottenendo l'effetto di cagionare quello spaesamento dimensionale che è una sensazione fortemente presente nella realtà culturale haitiana e che è -al contempo- uno dei maggiori raggiungimenti dell'arte di Stephenson. Ottenuto tale effetto le opere di Stephenson non lasciano però l'osservatore in un vuoto forzato; si ricongiungono, piuttosto, facendo leva sulla fenomenologia degli oggetti che procedono dall'esperienza di ciascuno di noi. Le immagini si ricompongono in tal modo in insiemi mentali di grande ricchezza emotiva e cognitiva. In esposizione, troviamo due serie di opere: il primo gruppo di nove opere, alte 91,5 cm, è espressione di una ricerca orientata alla definizione di campi visivi in cui sono fortemente protagoniste le architetture; il secondo gruppo, composto da sei opere, alte 50 cm, manifesta più evidentemente l'interazione formale (e ideologica) fra le forme dei paesaggi urbani e le persone che li popolano, in una ricerca che permette all'artista di orientare la percezione visiva dell'osservatore.

Le sculture di fer forgé di Croix-des-Bouquets

Monde marin

Femme poisson, Serge Jolimeau. © 2009 Città di Lugano, Museo delle Culture.

La cultura haitiana è caratterizzata dal riciclo. Materiali diversi, spesso i più disparati, sono riutilizzati per le necessità della vita quotidiana e per essere adoperati come materia prima per la creazione di opere d'arte. In un paese dove l'acqua corrente è un bene di pochi eletti, è naturale che una multiforme congerie di bottiglie e contenitori di plastica e di latta siano usati dalle donne e dai bambini per andare alla fontana o a quei luoghi dove un foro nelle tubature serve alla bisogna per avere uno zampillo d'acqua chiara. Artigiani specializzati ricavano lampade a petrolio (gridap) dalle scatole di latte concentrato, altri realizzano valigie dalle cassette della Coca-Cola, per non parlare dei giocattoli, prodotti dal multiforme, ingegnoso e inesauribile dispiegarsi della fantasia infantile. Fra tutti i materiali da riciclo, un posto d'onore spetta senz'altro ai barili e ai bidoni di metallo di diversa misura che sono reimpiegati come stufe per il carbone di legna, come tamburi suonati in occasione dei carnevali o dalle piccole bande di artisti ambulanti (rara) che durante tutta la Quaresima, sino al Lunedì di Pasqua, cantano e ballano per i campi e per le strade delle città, e come materia prima per la scultura di metallo ritagliato, battuto e inciso che, a partire dal 1953, si è sviluppata nella cittadina di Croix-des-Bouquets, che costituisce oggi un quartiere della periferia suburbana settentrionale di Port-au- Prince, da cui dista circa 13 km. Facendo ricorso all'onomatopea, come spesso accade nella lingua creola di Haiti, i bidoni sono chiamati dwoum, che vuol dire anche «tamburo».

Raccolti ai margini degli aeroporti o di insediamenti industriali, i bidoni sono portati a Croix-des-Bouquets prima sul tetto dei taxi collettivi (tap tap) e poi sulle spalle, fino alla loro ultima destinazione. Il processo di lavorazione prevede che i bidoni siano scoperchiati sopra (kouvétu anlè) e sotto (kouvétu anba), tagliati lateralmente per tutta la loro lunghezza e bruciati al fine di eliminare la vernice e rendere il metallo più facilmente lavorabile. Poi l'artista (bós metal) sale mani e piedi sulla piastra e la appiattisce di peso, ottenendo abbastanza rapidamente una superficie di circa 180×90 cm. Tale lamina grezza è poi martellata e levigata più volte, attuando un processo in cui psicologicamente l'artista si appropria progressivamente del metallo che trasforma con le sue mani in una materia plastica pronta a prendere le forme che gli suggerisce la sua creatività. Come ha prendere un dwoum e martellarlo fin quando non è piatto; e mentre io faccio questo, i contorni delle cose prendono forma: vedo una testa, un uccello e poi le altre cose. Poi prendo un'unghia o un pezzo di gesso, le disegno e poi le ritaglio, sino a finire». Alla prima lavorazione seguono diverse fasi di rifinitura che sono svolte da uno o più aiutanti, che sono spesso bambini (ti moun) di un'età compresa fra i 4 e i 12 anni, e -infine- il cesello e la rifinitura ultima che sono fatte dall'artista. I motivi d'ispirazione dell'artista sono molto diversificati e prendono spunto sia dalla religione tradizionale (vudù), sia dal Cristianesimo, sia dall'osservazione dei fatti della vita quotidiana. Fra le figure più frequenti, gli angeli, le sirene e le composizioni che tendono a staticizzare la complessità e il divenire delle cose. Lo stile è, per lo più, realista con una certa contenuta tendenza al surreale che è un po' la cifra distintiva di tutta l'arte popolare haitiana.

Sirène

Sirène, Serge Jolimeau. © 2009 Città di Lugano, Museo delle Culture.

BREVI BIOGRAFIE DEI PRINCIPALI ARTISTI

Stefano Guindani nasce a Cremona nel 1969. Fin dall’adolescenza manifesta il suo interesse verso la fotografia e, giovanissimo, raggiunge Milano spinto da quella che nel frattempo diviene la sua passione. Collabora per otto anni con una nota agenzia milanese raffinando la propria tecnica fotografica, che assume contorni ricercati e originali, e maturando una particolare predilezione per il mondo della moda. Nel 1998 crea l’agenzia SGP che si impone negli anni seguenti come un punto di riferimento internazionale per quanto riguarda la moda e il lusso. Inseparabile dalle sue macchine fotografiche, si muove tra Parigi, Milano e New York seguendo gli eventi più glamour, in una continua ricerca di nuovi mezzi espressivi che ne fa uno degli artisti preferiti da celebrità e stilisti internazionali e un collaboratore fisso di molte testate italiane e internazionali, fra le quali anche «Vogue» e il «New York Times». Negli anni seguenti la sua sensibilità lo accosta progressivamente alla scoperta di realtà sociali e culturali che versano in condizioni di estrema povertà e degrado, agli antipodi dello star system. L'incontro con Haiti, che doveva essere un’esperienza isolata, diventa così un progetto articolato volto anche a sensibilizzare l'opinione pubblica internazionale sulle condizioni di vita del paese.

Coupe du monde

Coupe du monde, Stefano Guindani, 2009. © Stefano Guindani.

Serge Jolimeau nasce a Croix-des-Bouquets nel 1952. Figlio di uno degli ebanisti del paese, una volta finita la scuola, lavora per due anni come apprendista nell’atelier di Seresier Louis-Juste, dove ha apprende le tecniche e i segreti della lavorazione dei bidoni di metallo. Nel frattempo frequenta l’ounfó (tempio) di Serge Saint- Fleur nel quartiere di Noailles, fino al momento della sua demolizione nel Luglio del 1987. Grazie alle sue capacità, alla sua creatività, ma anche agli insegnamenti di Georges Liautaud, suo maestro, e alle ispirazioni che derivano dalla sua profonda conoscenza della tradizione vudù, Jolimeau diventa con gli anni uno dei più apprezzati forgeron di haitiani, al punto di essere considerato oggi il punto di riferimento per tale genere di arte e il maggiore maestro vivente, in una linea di discendenza che la tradizione popolare fa risalire fino a Ogoun, il mitico fabbro celeste. Jolimeau vive e lavora tuttora a Croix-des-Bouquets dove ricopre il ruolo non codificato di modello per i giovani artisti che si vogliono cimentare con le creazioni in fer forgé. Le sue opere sono conosciute internazionalmente e sono oggetto di esposizioni temporanee in numerosi paesi, fra i quali gli Stati Uniti, il Messico, il Canada, la Francia, la Germania e la Svizzera.

Le roi de la mer

Le roi de la mer, Serge Jolimeau. © 2009 Città di Lugano, Museo delle Culture.

Roberto Stephenson è italo-haitiano. Nato a Roma nel 1964 vi ha risieduto sino al 1998. Terminati i suoi i suoi studi in graphic design, si dedica professionalmente alla fotografia, prima come assistente di studio e poi, dal 1990, come fotografo indipendente, specializzandosi in fotografia architettonica, ambito in cui sperimenta nuove metodiche espressive che gli valgono l'interesse della pubblicistica di settore a livello internazionale. Dal 1998 al 2000 si trasferisce a Londra e compie numerosi viaggi in Giordania, Siria, a New York e in India, occupandosi nel frattempo di allestire le prime importanti esposizioni personali dei suoi lavori dedicati alle architetture e ai paesaggi urbani che hanno luogo a Roma, Londra, New York, Ahmedabad, Miami, Port au Prince, Santo Domingo, Oslo, La Havana, Bamako, Parigi, Berlino, San José e Fort-de- France. Nel 2000 si trasferisce ad Haiti, intraprendendo una ricerca fotografica su tematiche più ampie che hanno a che vedere con la cultura locale e con una visione delle cose che declina una personale poetica del realismo. Nel 2003 ha pubblicato insieme all'artista Marie-Louise Fouchard, che anche sua compagna nella vita, un volume sulle architetture d'interni delle case haitiane e sta attualmente lavorando alla realizzazione di un volume che raccoglierà le immagini dei paesaggi urbani di Port-au-Prince.

Port-au-Prince 2008-1, Roberto Stephenson

Port-au-Prince 2008-2, Roberto Stephenson. © 2009 Roberto Stephenson.

CATALOGO

 

Fer forgé Gli esiti della ricerca e le opere esposte compongono il catalogo dell'esposizione che è curato da Francesco Paolo Campione e pubblicato dalla Skira di Milano. Il catalogo ha un formato 21×24 cm ed è di 184 pagine (40 €).

Le opere in mostra sono tutte riprodotte a colori, a eccezione delle fotografie di Stefano Guindani che sono riprodotte in duotono, per meglio valorizzare il bianco e nero.

L'opera contiene le prefazioni istituzionali di:

  • Mariavittoria Rava, della Fondazione Francesca Rava - N.P.H. Italia Onlus;
  • Manuel Andrés, Presidente e Amministratore Delegato Nestlé Italiana e Capo Mercato del Gruppo Nestlé in Italia;
  • Letizia Moratti, Sindaco di Milano;
  • Mariolina Moioli e Giovanni Terzi, assessori del Comune di Milano;
  • Davide Rampello presidente della Triennale.

Seguono le testimonianze di p. Richard Frechette, principale animatore delle attività umanitarie della Fondazione Francesca Rava - N.P.H. Italia Onlus ad Haiti e di Paul Haggis, regista e sceneggiatore di Hollywood e presidente della Brandaid Foundation di Los Angeles.

I saggi scientifici sono di:

  • Francesco Paolo Campione professore di Antropologia culturale e di Antropologia dell'arte all'Università degli Studi dell'Insubria di Como e direttore del Museo delle Culture di Lugano, che presenta il tema del sincretismo e il suo valore per l'arte haitiana;
  • Charles Ridoré, haitiano, professore di Sociologia e di Storia delle Religioni all'Università di Friborgo dal 1974 al 1999, che contestualizza il vudù nell'arte e nella cultura di Haiti;
  • Adriana Mazza, ricercatrice del Museo delle Culture, che presenta i caratteri dell'opera fotografica di Stefano Guindani e di Roberto Stephenson;
  • Günther Giovannoni, ricercatore del Museo delle Culture di Lugano, che traccia un profilo dei caratteri dell'esperienza artistica di Croix-des-Bouquets e dei suoi più famosi interpreti.

ATTIVITÀ SEMINARIALI E PROIEZIONI

Giovedì 4 Giugno
ore 18.30: Alessia Borellini intervista il fotografo Stefano Guindani.
Segue una visita guidata all'esposizione delle opere dell’Autore.
ore 20.00: aperitivo nella Nescafé Lounge

Giovedì 11 Giugno
ore 20.00: incontro con Claudio e Giuliana Del Punta autori di Haiti Chérie. All’interno dell’incontro è prevista la proiezione del film e a seguire il dibattito.
ore 22.30: caffè nella Nescafé Lounge

12-13-14-16-17 Giugno
ore 18.30: proiezione di Haiti Chérie di Claudio Del Punta

Giovedì 18 Giugno
ore 18.30: incontro con Charles Ridoré, Arte, religione, società ad Haiti
ore 20.00: aperitivo nella Nescafé Lounge
ore 21.00: proiezione di Aristide and the Endless Revolution di Nicolas Rossier

19-20-21-23-24 Giugno
ore 18.30: proiezione di Aristide and the Endless Revolution di Nicolas Rossier

Giovedì 25 giugno
ore 18.30: incontro con Günther Giovannoni, L’arte dei Caraibi
ore 20.00: aperitivo nella Nescafé Lounge
ore 21.00: proiezione del film The Agronomist di Jonathan Demme


26-27-28-30 Giugno e 1° Luglio
ore 18.30: proiezione di The Agronomist di Jonathan Demme

FILM

Haiti Chérie, di Claudio Del Punta, 2007, 99' Haiti Chérie si concentra sulle bateyes, baraccopoli costruite ai margini delle piantagioni di canna da zucchero nella Repubblica Dominicana, e ritrae i tagliatori di canna costretti a viverci in condizioni pietose. Ingaggiati in nero, senza alcuna protezione sociale, vengono parcheggiati in ghetti dove non c'è acqua corrente né elettricità, e passano più di quattordici ore al giorno nei campi per una paga miserabile.

Haïti chérie Jean-Baptiste e Magdaleine sono sposati e lavorano in una di queste piantagioni, ma quando il loro bambino appena nato muore di fame prendono seriamente in considerazione l'idea di tornare nel paese d'origine, nonostante le loro rispettive famiglie siano state massacrate dalle milizie.

Ambientato tra Haiti e la Repubblica Domenicana, il film è realizzato con attori non professionisti, la maggior parte del cast infatti è formato dai braccianti che lavorano e vivono nelle piantagioni dominicane.

I protagonisti principali sono Yeraini Cuevas, studentessa sedicenne che nel film interpreta Magdaleine e Valentin Valdez, ventunenne ed ex tagliatore di canna da zucchero, nel ruolo di suo marito, Jean Baptiste. Ambientato nella Repubblica di Santo Domingo, le riprese sono durate circa quattro mesi e sono state interrotte più volte dalle guardie dei latifondisti, quando Del Punta è andato a girare nei batey. Il titolo del film deriva da una canzone di Toto Bissainthe, celebre attrice e cantante haitiana (1934-1994), che con la sua voce ha fatto conoscere le atmosfere e la cultura della sua isola al mondo intero, e le cui melodie costituiscono anche la colonna sonora del film.

Aristide and the Endless Revolution, di Nicolas Rossier, 2005, 84' A meno di un’ora di aereo da Miami si trova la nazione più povera dell’emisfero occidentale, Haiti. Nel 1991, dopo anni di sanguinosa repressione dittatoriale, i cittadini haitiani elessero presidente un ex prete cattolico ed esponente della teologia della liberazione, Jean-Bértrand Aristide.

Aristide and the Endless Revolution Estremamente popolare tra i diseredati degli slum, Aristide divenne l’obbiettivo degli interessi di lobby affaristiche internazionali a causa della sua politica di miglioramento delle condizioni di vita della maggioranza dei suoi concittadini.

Durante il suo secondo mandato da presidente, il governo di Aristide si trovò a dover fronteggiare sia fortissime pressioni internazionali, sia violenze politiche interne; finché il 29 Febbraio 2004, Aristide e la sua famiglia lasciarono Port-au-Prince su un aereo militare statunitense, secondo il presidente, contro la sua stessa volontà, secondo il Ministero degli esteri dell’amministrazione Bush, con il suo pieno consenso.

 

Il documentario di Nicolas Rossier si concentra sull’ultimo anno della presidenza di Aristide e sui suoi tentativi di mantenere gli impegni di riforme sociali di fronte a una crescente opposizione interna (abilmente diretta da lobby affaristiche e militari) e, contemporaneamente, a relazioni diplomatiche sempre più ostili con degli Stati Uniti. Aristide and the Endless Revolution può contare su un’intervista esclusiva concessa da Aristide dal suo esilio sudafricano e su commenti autorevoli (il vice-segretario di Stato americano, Roger Noriega, Colin Powell e Noam Chomsky) sia da parte dei sostenitori del presidente, che da parte dei suoi oppositori. Grazie anche al sapiente uso di scioccanti immagini «rubate» durante gli scioperi del 2004, il documentario offre una coinvolgente testimonianza della lotta del popolo haitiano contro l’oppressione e svela l’intricata ragnatela di speranze, inganni e violenza politica che ha messo in ginocchio la «prima repubblica nera» del mondo.

The Agrnomist di Jonathan Demme, 2003, 90' Jean Dominique non era un politico di professione, ma con la sua Radio Haiti Inter ha rappresentato a lungo la voce del popolo contro i governi militari che hanno condotto il paese a partire dal 1956 attraverso più di un colpo di stato.

The Agronomist Jean Dominique si definiva «un attivista militante per la Democrazia». Vittima di attentati intimidatori, e costretto per due volte all'esilio, Jean Dominique è stato il più importante testimone della reale situazione dell'isola caraibica, un esempio non di come una voce possa manipolare l’opinione pubblica ma di come un uomo possa diventare la voce di una moltitudine altrimenti silenziosa, una moltitudine che non parlava francese ma conosceva benissimo la lingua creola in cui Jean Dominique realizzava - caso unico - le sue trasmissioni radiofoniche. La sua importanza per gli haitiani era tale che al suo ritorno in patria dopo sei anni di esilio, nel 1986, 60'000 persone andarono ad accoglierlo all’aeroporto di Port-au-Prince.

Jonathan Demme ha incontrato per la prima volta Jean Dominique e sua moglie Michèle Montas proprio nel 1986, quando si trovava ad Haiti, per realizzare il documentario intitolato Haiti: Dreams of Democracy, che raccontava l’entusiasmo con cui il paese si preparava ad accogliere il primo governo democratico della sua storia. Colpito dalla passione e dall’intelligenza dell’uomo, Demme decide nel 1993 di realizzare un documentario su di lui, partendo da quella che è la sua visione del colpo di stato che l’ha di nuovo costretto in esilio a New York ma non limitandosi a quest’argomento.

Durante la ventina di conversazioni che i due fanno davanti alle telecamere nell’anno successivo, infatti, Jean Dominique racconta la FER FORGÉ. Presentazione Battito di Haiti 42 storia di Haiti e quella di Radio Haiti Inter, racconta la storia della sua vita ed esprime le sue opinioni sulla situazione politica mondiale. Quando poi Dominique ha occasione di ritornare in patria, i due si perdono di vista e il film non viene mai completato. Ma quando Dominique viene assassinato, il 3 Aprile del 2000, Demme capisce che per rendere omaggio alla sua figura deve portare a termine il progetto. Raccoglie quindi materiale girato da altri e lo monta con spezzoni di film su Haiti, compreso Et moi je suis belle (1962) dello stesso Jean Dominique. Il risultato è uno splendido documentario sulla vita di un uomo straordinario e sulla storia recente di un paese tribolato.

LABORATORI DIDATTICI

Attraverso un percorso educativo sull’arte e sulla cultura haitiana, i giovani partecipanti sono coinvolti in laboratori didattici - che forse meglio potremmo chiamare «botteghe» - che hanno come obiettivo la realizzazione di manufatti ispirati alla suggestiva tradizione popolare, attraversando i processi di produzione di oggetti in cartapesta e fer forgé.

I bambini e i ragazzi hanno l’occasione di visitare le sale espositive e conoscere i progetti umanitari della Fondazione Francesca Rava - N.P.H. Italia Onlus impegnata in aiuti concreti a favore della tutela dell’infanzia nel mondo.

La Fondazione si propone attraverso la visita dell'esposizione temporanea «Fer Forgé» e attraverso i laboratori, di sensibilizzare bambini e ragazzi alle complesse realtà in cui vivono tanti loro piccoli coetanei, con l’obiettivo di far capire che, anche in situazioni drammatiche come quella di Haiti, rimane forza, energia e voglia di costruire.

I principali spunti di riflessione sono:

  • l’importanza del riciclo nella cultura haitiana fondamentale per la sopravvivenza quotidiana nonché fonte di materia prima per la creazione dei manufatti artistici: le splendide opere della mostra partono proprio da materiali di scarto che l’abilità e l’ingegno degli haitiani trasformano in arte di altissimo livello;
  • la conoscenza delle culture e il rispetto per gli altri;
  • la conoscenza e l'avvicinamento ai valori del volontariato;
  • il dispiegarsi della fantasia infantile nel riutilizzo dei materiali per la costruzione dei propri giocattoli.

Sono proposti due diversi laboratori: il primo è indirizzato alla creazione di opere di cartapesta; il secondo alla creazione di opere di fer forgé. L'approccio educativo è distinto per fasce d’età: la prima fra i 4 e i 10 anni, la seconda fra i 10 e 14 anni.

La cartapesta - È spiegata la tecnica della cartapesta e si procede nella realizzazione di una maschera ispirata a quelle del Carnevale di Jacmel presenti in esposizione, attraverso le differenti fasi di lavorazione, cui si prevede di dedicare nell’allestimento della sala piccole aree specifiche.

I bambini, dopo aver appreso la tecnica di preparazione dell’impasto (fase 1), hanno a disposizione una sorta di stampo semisferico da rivestire con carta bagnata con un composto di acqua e colla (fase 2). Dati i lunghi tempi della fase d’essiccazione della cartapesta (36 ore), dopo aver realizzato la base della maschera, ne decorano una già asciutta (fase 3), realizzata proprio dai bambini che hanno partecipato al precedente incontro. Possono scegliere di riproporre la maschera che più li ha colpiti o impressionati e ricopiarne le fattezze, oppure procedere in creatività e commistione culturale, dove ovviamente forme di meticciato potrebbero anche essere incoraggiate proprio a rappresentare possibilità di incontro tra culture differenti. La scelta di decorare una maschera già realizzata è funzionale sia al rispetto dei tempi previsti dal laboratorio, sia alla rappresentazione dell’idea di una comunità solidale: i partecipanti realizzano al meglio una maschera che viene essiccata e decorata da altri, e viceversa decorano una maschera precedentemente realizzata da altri bambini. Una speciale «interazione creativa» che rende possibile un importante momento di conoscenza dell’identità e dell’arte di un luogo lontano, Haiti.

Il fer forgé - Dopo aver conosciuto e appreso la metodologia della lavorazione delle opere in fer forgé, i ragazzi imparano a lavorare le lamine metalliche decorandole su ispirazione haitiana. Il laboratorio si suddivide in due fasi. Con l’aiuto di un punteruolo, incidono su un foglio di rame di piccole dimensioni il particolare di un'opera presente in esposizione, ovviamente in una logica di apprendimento e sperimentazione, familiarizzando con la materia (fase 1). La scelta del soggetto da riprodurre sensibilizza la conoscenza dei significati dei soggetti rappresentati nelle opere, elementi culturali che sono accompagnati, introdotti e spiegati in modo concreto e divertente. In un secondo momento, quando i ragazzi hanno preso dimestichezza con il metodo di lavoro, è loro offerta la possibilità di sperimentare il metodo della lavorazione di una superficie più grande, in un contesto collettivo, ovvero attraverso la realizzazione di un unico progetto da lavorare su un'unica lastra di dimensioni più grandi (fase 2). Anche in questo caso quindi si cerca di lavorare sull’idea del collettivo e del potenziale solidale del lavoro di gruppo e dello scambio creativo, così da associare al lavoro creativo di tipo materiale anche un percorso educativo di tipo sociale e aggregativo. In entrambi i casi ai bambini e ai ragazzi sarà permesso portare via con sé un manufatto, mentre gli oggetti collettivi resteranno all’interno del laboratorio, segno del passaggio e memoria dell’esperienza. Dal punto di vista organizzativo, le mattinate, tra le 10.00 e le 12.30. saranno dedicate a sessioni strutturate per le scuole e i centri estivi, mentre i pomeriggi sono riservati a laboratori ad iscrizione per il pubblico.

La struttura didattica prevede un primo momento dedicato alla visita della mostra di circa 25 minuti, un secondo momento di circa 15 minuti di approfondimento nella sala della Fondazione sul progetto «Francisville», e infine un terzo momento invece dedicato al laboratorio vero e proprio. Nel complesso si prevedono due turni al mattino e due turni al pomeriggio per un totale di dieci turni a settimana per una media di 20 bambini (minimo 15, massimo 25) a turno. In tal modo, nei 50 giorni di esposizione, si conta di realizzare una frequentazione complessiva dei laboratori di circa di 1'200 bambini e ragazzi. Punto di riferimento per l’impostazione pedagogica ed educativa dei laboratori è la proposta educativa di Bruno Munari espressa in Guardiamoci negli occhi, (G. Lucini, Milano 1969 - Ristampa Corraini, Mantova 2003).

PARTNER

L'esposizione temporanea è il frutto di una collaborazione progettuale e operativa concretizzatasi, in tempi brevissimi, che ha visto la collaborazione, a diversi livelli, di tre partner principali: la Fondazione Francesca Rava - N.P.H. Italia Onlus, Nescafé e il Museo delle Culture di Lugano, con il supporto tecnico, per quanto riguarda gli allestimenti e la comunicazione, rispettivamente della MISMAS e di Bocconi Trovato & Partners.

La Fondazione Francesca Rava - N.P.H. Italia Onlus e le sue attività La Fondazione Francesca Rava aiuta l’infanzia in condizioni di disagio in Italia e nel mondo, tramite adozioni a distanza, progetti, attività di sensibilizzazione sui diritti dei bambini e volontariato. In Italia rappresenta N.P.H.-Nuestros Pequeños Hermanos (I nostri piccoli fratelli), organizzazione umanitaria internazionale, che da oltre cinquant'anni si dedica ai bambini orfani e abbandonati nelle sue case orfanotrofio e nei suoi ospedali in America Latina. Ad Haiti dove un bambino su tre muore prima dei cinque anni di malattie curabili, uno su due non va a scuola e il 70% della popolazione non ha lavoro, N.P.H. è presente da vent'anni anni, sotto la guida di p. Richard Frechette, americano, sacerdote e medico in prima linea, con numerosi progetti tutti sostenuti dalla Fondazione: una casa orfanotrofio con 600 bambini, «scuole di strada» per 4'000 bambini nei quartieri più degradati, un ospedale pediatrico da 300 posti letto, il più grande dei Caraibi, il primo Centro di Riabilitazione per bambini disabili del paese e programmi di distribuzione alimentare nei quartieri di baracche e nelle aree più colpite dalla povertà.

Fra i nuovi progetti in corso: «Francisville - Città dei mestieri» e «Timoun petit - Centro per la maternità sicura. «Francisville» è un centro di formazione che con una scuola professionale per 500 studenti, piccole fabbriche, laboratori artigianali e vocazionali, e un’officina meccanica, consentirà di dare un lavoro e insegnare un mestiere a centinaia di ragazzi. Lo scopo è quello di sostenere l'avvio di giovani imprenditori capaci di produrre beni e servizi essenziali, da mettere a disposizione dei più poveri e FER FORGÉ. Presentazione Battito di Haiti 47 da vendere, a prezzi equi, nei locali mercati perché il progetto possa autosostenersi, con l’obiettivo ultimo di salvare migliaia di bambini e assicurare loro un futuro. Il progetto sta sorgendo accanto all’ospedale pediatrico N.P.H. ed è modulare: entro il 2009 saranno realizzate la fabbrica del pane e l’officina meccanica.

Nescafé Street Art Project - L'esposizione temporanea fa anche parte di un secondo importante progetto condotto da anni nell'ambito delle attività culturali della Nescafé, Si tratta del «Nescafé Street Art Project» che intende porre in dialogo fra loro movimenti di arte di strada di ogni parte del pianeta, che costituiscono oggi interessanti avanguardie estetiche e vivaci espressioni dei trend artistici emergenti. Il progetto è concepito come un vero e proprio contenitore mobile in cui gli artisti coinvolti possono dare spazio ai loro giovani talenti e libera espressione alla loro creatività, manifestando in un palcoscenico globale i loro linguaggi spontanei e innovativi. Emblema internazionale di questa sperimentale forma d’arte è la Pop Up Generation, un vero e proprio movimento transnazionale globale che «fa arte» in prima persona e la veicola attraverso l'uso di strumenti espressivi informali che coinvolgono anche spazi e superfici non convenzionali. Non si tratta solo una corrente artistica ma dell'espressione di un mercabul animato da un'inesauribile curiosità per tutto ciò che avviene intorno a sé, desideroso di esprimere al mondo la propria identità in divenire, aperte -e quasi attratte- verso stili di vita e culture diversi dalla propria.

Dall'incontro tra il Nescafé Street Art Project e la Fondazione Francesca Rava, l'attenzione del progetto si è rivolta ai movimenti di arte haitiani che, da sempre, sono caratterizzati da una spontaneità creativa e da una dimensione en plein air che si materializza, nella società odierna, anche nel ricorso a forme di arte che fanno un uso preponderante di materiali riciclati. Il dialogo è avvenuto in un primo momento attraverso la presenza ad Haiti di alcuni artisti italiani, i cui murales sono diventati oggetto (e soggetto) pedagogico per i bambini delle scuole delle baraccopoli di Port-au-Prince, e la cui arte si è arricchita del confronto con le forme e le esperienze dell'arte di un paese in cui ogni muro è innanzi tutto considerato il luogo per l'espressione creativa. Un dialogo che non si è fermato FER FORGÉ. Presentazione Battito di Haiti 48 all’esperienza del viaggio tra i bambini di Haiti ma che è proseguito. Grazie all’impegno di Nescafé, infatti, TvBoy, uno degli esponenti principali della street art in Italia, ha personalizzato con un graffito la «red mug», la famosa tazza rossa divenuta un’icona del mondo giovanile. Prodotte in un numero limitato di esemplari le tazze da da collezione sono diventate uno strumento per raggiungere obiettivi concreti: raccogliere fondi per poter consentire a 700 bambini di frequentare la scuola per un anno. Il Museo delle Culture di Lugano (www.mcl.lugano.ch)

Il Museo delle Culture è uno dei tre Musei che fanno parte del Polo Culturale luganese. La sua missione, oltre a prevedere la conservazione e la valorizzazione del proprio patrimonio di opere d'arte etnica e popolare, contempla l'organizzazione e la collaborazione ad attività di livello internazionale fondate su studi e ricerche sull'arte delle culture non-occidentali e sui fenomeni ad essa connessi, anche al fine di contribuire al recupero delle conoscenze tradizionali, e al loro utilizzo, per un moderno sviluppo socio-economico rispettoso delle peculiarità locali e improntato al dialogo transculturale. In tal senso, dal 2005, il Museo si è dotato di un Centro di ricerca che opera in raccordo con musei, atenei e istituzioni culturali di tutto il mondo ed è divenuto sede di insegnamenti universitari e di altre d'attività seminariali e d'alta formazione a carattere periodico. Il Museo possiede inoltre una Biblioteca specialistica e un Archivio iconografico, che sono aperti al pubblico tutti i giorni, nonché un Laboratorio di conservazione e museotecnica attrezzato per le necessità del Museo e per eventuali consulenze specialistiche a terzi. Negli ultimi quattro anni, il Museo ha realizzato 23 esposizioni temporanee, 16 in Svizzera e sette in Italia, e ha pubblicato venti volumi, per la maggior parte distribuiti sul mercato librario da grandi editori italiani.

 Viré monté